Cari lettori,
Qualche giorno fa ho accompagnato mia figlia Chiara in una delle tappe più importanti della sua vita: l’ingresso al primo anno delle superiori. Vederla così emozionata, pronta a cominciare un nuovo percorso con fiducia ed entusiasmo, è stato per me un dono. Il secondo giorno, come spesso accade oggi nelle scuole, i professori hanno suggerito ai ragazzi di creare un gruppo WhatsApp della classe, utile – almeno nelle intenzioni – per scambiarsi compiti, informazioni, incoraggiamenti.
Chiara, fino a quel momento, non aveva mai avuto WhatsApp sul suo telefono: una scelta familiare consapevole, frutto anche di esperienze negative vissute in passato. Ma stavolta la sua richiesta era diversa, legata al desiderio di sentirsi parte del gruppo. Dopo averci pensato a lungo, ho deciso di inserire il mio numero di lavoro al posto del suo: un compromesso per proteggerla e, nello stesso tempo, permetterle di non rimanere esclusa.
E lì ho scoperto un mondo che sapevo esistere, ma che fino a quel momento avevo osservato solo da lontano.
Dal sogno di un gruppo di classe al linguaggio della violenza.
Immaginavo scambi di compiti, battute innocenti, magari qualche emoji colorata. Invece, nel giro di poche ore, mi sono ritrovata di fronte a messaggi intrisi di volgarità, bestemmie, insulti gratuiti. Non solo: qualcuno ha cominciato ad aggiungere persone estranee al gruppo di classe, diffondendo così numeri di telefono e contenuti personali senza alcun consenso. Foto volgari, sticker a sfondo sessuale, chiamate di gruppo nel cuore della notte: tutto questo in un contesto che avrebbe dovuto essere scolastico.
Ho preso fiato e, da adulta, ho deciso di intervenire con fermezza ma rispetto. Ho scritto un messaggio chiaro, ricordando ai ragazzi alcune regole fondamentali: tutela della privacy, linguaggio civile, divieto assoluto di contenuti sessuali. Ho sottolineato che un gruppo di classe deve restare un luogo utile, positivo, rispettoso.
Per un attimo ho creduto che il messaggio fosse stato recepito. Mi hanno risposto in modo gentile, sembravano aver capito.
Ma mi sbagliavo.
La violenza che non ti aspetti...........
Poco dopo hanno aperto un’altra chat, su Discord, dove hanno riversato un fiume di bestemmie e insulti rivolti direttamente a me. Dal giorno seguente, il passo successivo: telefonate anonime, voci di ragazzini che prendevano in giro mia figlia e mi urlavano oscenità al telefono, per poi riattaccare ridendo.
Non mi vergogno a dire che, in quel momento, ho vacillato. Ho provato un groviglio di emozioni che si facevano guerra dentro di me: rabbia, paura, solitudine, ansia. Eppure io sono un’adulta, una donna strutturata, con strumenti e risorse per affrontare la vita. Nonostante questo, mi sono sentita con le spalle al muro, la gola chiusa, il cuore piccolo piccolo.
E ho pensato: se mi sento così io, cosa può provare un ragazzo fragile, insicuro, timido?
La domanda che resta sospesa e che mi ha ferito più di tutte: “E ora, chi chiamo?”.
Io una risposta ce l’avevo. Avevo la mia rete, le mie conoscenze, il sostegno della mia famiglia. Ma quanti adolescenti, lasciati soli davanti a un telefono che diventa un’arma, non hanno nessuno da chiamare? Quanti si sentono schiacciati dal giudizio, dal silenzio degli adulti, dall’indifferenza generale?
Il bullismo digitale non è un episodio isolato, non è “ragazzata”. È un fenomeno che si infiltra nella vita quotidiana, che può colpire a ogni ora del giorno e della notte, che non concede tregua. Ed è proprio questa persecuzione continua a renderlo così devastante.
Questa esperienza mi ha segnata, ma non mi ha piegata. Al contrario, ha rafforzato ancora di più la missione della mia Associazione IoStaccoLaSpina. Voglio che quella domanda, “chi chiamo?”, trovi finalmente una risposta. Voglio che chi si sente bullizzato, deriso, isolato, sappia che esiste un luogo sicuro, una voce pronta ad ascoltare senza giudicare, un adulto capace di intervenire con fermezza e amore.
Non possiamo lasciare i nostri figli soli di fronte a questo abisso. Dobbiamo esserci, dobbiamo educare, dobbiamo proteggere. Perché la tecnologia ha un potere enorme, ma anche la nostra responsabilità di adulti lo è.
Una promessa ai ragazzi (e ai genitori)
Alla fine, questa non è solo la mia storia. È la storia di tante famiglie, di tanti ragazzi che ogni giorno affrontano in silenzio un dolore che non sanno nominare.
E allora voglio che resti scritto, nero su bianco:
la prossima volta che qualcuno si chiederà “E ora, chi chiamo?”,
la risposta dovrà essere chiara, semplice, immediata:
👉 Chiama Letizia di IoStaccoLaSpina: +39 380.1326094
Perché nessun cuore – giovane o adulto – deve sentirsi più solo davanti a un telefono che fa male.
A presto!
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