Cari lettori,
Viviamo in un tempo in cui il “solo cinque minuti” è diventato un ritornello familiare.
Un piccolo istante che, per molti genitori, racchiude una grande distanza.
Dietro quella frase, pronunciata distrattamente con lo sguardo fisso sullo schermo, si nasconde spesso un mondo: il bisogno di rifugio, di appartenenza, di spazio personale.
Non è semplice accettarlo. Si prova frustrazione, rabbia, persino un senso di colpa.
Ma l’educazione digitale non nasce dal controllo — nasce dall’ascolto.
“Ancora cinque minuti.” Lo ripetono spesso.
Tu le provi tutte, chiami più volte: “È pronto! Vieni!”, ma non sempre ricevi la risposta che vorresti.
Ti arrabbi, ti senti impotente e, a volte, anche in colpa.
È in quei momenti che si alzano le barriere, e sembra impossibile entrare nel loro mondo.
Ma le sfide sono anche stimoli.
Forse, più che imporre regole, è necessario cambiare prospettiva.
Per i ragazzi, il telefono non è solo un gioco: è un rifugio.
Spesso è un modo per esprimere bisogni e emozioni che non sanno ancora raccontare.
Quel dispositivo diventa una barriera che, per i genitori, può sembrare invalicabile.
Prova allora ad avvicinarti in modo diverso.
Non partire dalle regole, ma dalle domande.
Chiedi cosa guardano, con chi parlano, cosa li fa sorridere.
Crea momenti in cui non sentano la necessità di tornare nel loro “rifugio digitale”.
E, soprattutto, stacca anche tu.
I figli imparano più da ciò che vedono che da ciò che diciamo.
Se ti vedono staccare, impareranno anche loro a farlo.
L’educazione digitale è un cammino lungo e complesso, ma si percorre con ascolto, pazienza e tanta umanità.
Perché la connessione più importante è quella che nasce quando ci si guarda negli occhi.
E quella sintonia, autentica e viva, non potrà mai — e poi mai — passare attraverso uno schermo.
Ogni “ancora cinque minuti” può diventare un’occasione per capire, dialogare, entrare davvero nel loro universo.
A presto!
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