lunedì 15 dicembre 2025

Quando i bambini smettono di guardare il cielo: l’infanzia perduta nell’era digitale!


 
Cari lettori,

c’è una convinzione diffusa e rassicurante nella nostra società: che televisione, internet, videogiochi e smartphone siano innocui compagni dell’infanzia. Che i bambini possano essere “staccati” a piacimento dagli adulti, senza conseguenze. Che giocare online o passare ore davanti a un video sia solo una fase, un passatempo come un altro.
La realtà, però, racconta una storia molto diversa.

Oggi una parte crescente dei bambini vive una relazione dipendente con gli schermi già a partire dai primi anni di vita. Si stima che perfino tra i più piccoli — quelli che frequentano la scuola primaria, e talvolta anche prima — alcuni sviluppino comportamenti che somigliano a vere e proprie dipendenze. Dietro questo fenomeno non c’è superficialità o cattiva volontà: c’è un problema profondo, pervasivo, che riguarda la nostra intera epoca. È la tendenza — ormai quasi istintiva — a preferire un dispositivo a un essere umano.

Man mano che i bambini si connettono sempre di più alla tecnologia, si disconnettono dall’umanità. È un processo silenzioso, impercettibile nell’immediato, ma devastante nel tempo. I bambini passano ore in mondi virtuali chiusi e solitari, allontanandosi non solo dalla famiglia, dagli amici o dai compagni, ma persino dai loro animali domestici. Mentre in giardino un cane aspetta qualcuno che non arriva, nei mondi digitali si allevano creature virtuali che non esistono.

Le strade un tempo piene di voci e giochi sono oggi spesso vuote. I parchi, che erano il cuore pulsante dell’infanzia, sono diventati scenari silenziosi. I bambini si ritirano in luoghi dove non serve immaginare, correre, creare: basta cliccare. E quel ritiro non riguarda soltanto le relazioni o il corpo, ma tocca qualcosa di ancora più profondo.

La disconnessione più grave è quella dal loro senso spirituale e da se stessi.
Quella scintilla negli occhi quando imparavano ad andare in bicicletta, la gioia delle risate mentre costruivano città di terra e foglie, l’incanto di un pomeriggio passato a osservare il mondo… lentamente si sta affievolendo. È come se la magia primordiale dell’infanzia venisse risucchiata da uno schermo che offre tutto, ma senza verità, senza esperienza viva, senza radici.

Non è colpa dei bambini, né interamente dei genitori.
È che mai, nella storia dell’umanità, un cambiamento così radicale ha investito famiglie, scuole, comunità con una rapidità tanto feroce. Non c’è stato tempo di adattarsi, di comprenderne la portata. Le strutture domestiche, educative e sociali stanno cambiando più velocemente di quanto gli adulti riescano a rispondere. L’intrusione della tecnologia nelle case e nelle vite dei bambini è arrivata come un’onda improvvisa, lasciando pochissimo margine per prepararci.

Oggi la domanda non è più “Quanto tempo dovrebbero passare gli schermi?”, ma “Che tipo di futuro stiamo costruendo per loro?”
E c’è un dato che fa tremare: i bambini del nuovo millennio potrebbero essere la prima generazione a non vivere più a lungo dei propri genitori. Mai erano stati così fragili, così esposti, così vulnerabili. Ritardi nello sviluppo, difficoltà di apprendimento, obesità, disturbi del sonno, malessere psicologico, isolamento, aggressività, difficoltà attentive: l’elenco è lungo e non più ignorabile.

Non stiamo parlando di opinioni, ma di evidenze ormai sotto gli occhi di chiunque lavori quotidianamente con l’infanzia.

Eppure, la consapevolezza non basta.
Perché se è vero che la tecnologia può rappresentare una minaccia, è altrettanto vero che abbiamo gli strumenti per cambiare rotta. Possiamo ripensare gli equilibri, restituire tempo, spazi, presenza. Il problema non è la tecnologia in sé, ma il modo in cui la stiamo lasciando crescere nella vita dei bambini senza guida, confini, alternativa.

È necessario che famiglie, professionisti della salute, scuole e istituzioni inizino a costruire un fronte comune.
Non basta dire “meno tecnologia”: occorre offrire ai bambini attività fisiche, sociali, creative, esperienze reali che nutrono ciò che uno schermo non potrà mai sostituire. È un percorso che richiede impegno, conoscenza e nuovi modelli educativi, ma è l’unico che può garantire un’infanzia sana, un futuro sostenibile.

Il punto non è demonizzare il digitale, ma ripristinare un equilibrio che si è spezzato.
Gli adulti devono tornare a essere i custodi dell’infanzia, non suoi spettatori distratti. Dobbiamo proteggere i bambini non solo da contenuti inappropriati, ma da un modello di vita che li disconnette da sé stessi, dagli altri, dalla natura e dallo spirito.

Non abbiamo mai avuto così tanto bisogno di tornare umani.
Di riportare i bambini nei parchi, nelle relazioni, nella vita vera.
Di restituire loro quella scintilla che nessuna tecnologia potrà mai creare: la capacità di stupirsi, immaginare, esplorare e crescere davvero.

Perché l’infanzia è una sola.
E ciò che perdiamo oggi — quel tempo, quella luce, quella presenza — non lo recupereremo mai più.

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