Vivere senza smartphone: Una rivoluzione giovanile da
Brooklyn alla nostra quotidianità.
Cari lettori,
Un tempo, i giornali parlavano di una storia americana che
faceva scalpore. Un gruppo di adolescenti di Brooklyn aveva preso una decisione
audace: vivere senza smartphone. Senza social, senza videochiamate, solo
vecchie telefonate e qualche sporadico sms. Ragazzi di 13 o 14 anni che si
davano appuntamento fisso in un parco cittadino, senza conferme via chat, per
condividere esperienze reali: leggere, giocare a pallone, chiacchierare. Logan,
una ragazza di quel gruppo, aveva confessato in un'intervista qualcosa di
sconvolgente: «Non sapevo più distinguere tra le cose che facevo perché mi
piacevano da quelle fatte solo per postare foto su Instagram».
Questa storia, raccontata anni fa, dovrebbe tornare alla
ribalta in occasione della "Giornata mondiale per la sicurezza in
Rete" (Safer Internet Day 2024), promossa dall’Unione Europea per
promuovere un uso più consapevole degli strumenti digitali, specialmente tra i
più giovani. Dovrebbe essere ricordata soprattutto da noi, dove l'uso smodato
di internet e degli smartphone è all'ordine del giorno. In Italia, secondo dati
di Save The Children, il 79,7% dei bambini e degli adolescenti tra i 6 e i 17
anni utilizza internet quotidianamente, soprattutto tramite smartphone. Questo
rapporto con la tecnologia ha conseguenze, come l'aumento del cyberbullismo
(16,2% degli adolescenti vittime) e dei casi di sovrappeso o obesità (31,6%).
Ma la tentazione di demonizzare la gioventù o di idealizzare
il passato è troppo semplice. La vera questione riguarda anche gli adulti, che
spesso sono vittime e complici di questa dipendenza digitale. Dobbiamo
chiederci se sia giusto scaricare la responsabilità sui ragazzi anziché educare
noi stessi a un uso equilibrato della tecnologia. Le competenze per gestire gli
strumenti digitali devono possederle i ragazzi o gli adulti che ne sono
responsabili?
La soluzione non è bandire gli smartphone, come a volte si
propone in modo impulsivo. Le rivoluzioni digitali non si governano con
divieti, ma con educazione e consapevolezza. Bisogna educare i ragazzi a un uso
responsabile della tecnologia, insegnando loro a distinguere tra il mondo
digitale e quello reale, senza demonizzare né idealizzare nessuno dei due.
In conclusione, la storia dei ragazzi di Brooklyn dovrebbe
essere un monito per tutti noi: è possibile vivere una vita più autentica,
anche nell'era digitale. Dobbiamo solo trovare il giusto equilibrio, senza
rinunciare alle meraviglie della tecnologia ma senza perdere di vista le gioie
della vita offline.
A presto!
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