Cari lettori,
viviamo in un tempo in cui la condivisione è diventata quasi un riflesso automatico.
Scattiamo una foto, pubblichiamo un pensiero, condividiamo un’emozione. Lo facciamo senza pensarci troppo, come se ogni istante della nostra vita avesse bisogno di essere confermato dallo sguardo degli altri.
Ma cosa ci spinge davvero a raccontare noi stessi sui social?
E perché, anche sapendo che spesso quel mondo non è reale, continuiamo a cercarvi approvazione?
1. Il bisogno di appartenenza
L’essere umano ha sempre desiderato sentirsi parte di qualcosa: di un gruppo, di una comunità, di una rete di relazioni.
I social ci danno questa illusione immediata: bastano un like o un commento per sentirci visti, riconosciuti, “inclusi”. Ma questa appartenenza è fragile, perché svanisce non appena lo schermo si spegne.
2. Il bisogno di validazione
Ogni notifica è una piccola scarica di dopamina, la stessa sostanza che regola il piacere e la ricompensa.
Nel tempo, il nostro cervello impara ad associare l’autostima ai numeri: like, visualizzazioni, follower.
E così, senza rendercene conto, finiamo per misurare il nostro valore attraverso gli occhi di chi ci guarda, anziché attraverso la nostra autenticità.
3. Il desiderio di controllo sull’immagine di sé
Pubblicare online ci permette di scegliere come mostrarci: selezioniamo i momenti migliori, filtriamo imperfezioni e parole, costruiamo un racconto di noi stessi che spesso è più desiderato che reale.
Questa “identità curata” può dare sicurezza, ma alla lunga rischia di diventare una gabbia da cui è difficile uscire.
4. La paura del silenzio e della solitudine
Molti di noi riempiono il vuoto digitale con parole, foto, post.
Temiamo il silenzio perché ci obbliga a guardarci dentro, a fare i conti con le nostre emozioni.
Eppure è proprio lì — nel silenzio — che nasce la consapevolezza, la creatività, l’ascolto autentico di sé.
5. La possibilità di un nuovo equilibrio
Condividere non è sbagliato, ma può diventare sano solo se nasce da un bisogno autentico e non da una dipendenza emotiva.
Significa raccontarsi senza cercare conferme, comunicare per creare legami veri, e soprattutto sapersi disconnettere per ritrovarsi.
Nei nostri percorsi e progetti di educazione al benessere digitale, lavoriamo ogni giorno per aiutare ragazzi e adulti a sviluppare questa consapevolezza:
riconoscere i propri bisogni, comprendere le dinamiche della rete, e imparare a vivere la tecnologia come uno strumento — non come una dipendenza.
Perché l’uso consapevole dei social non nasce dalla paura di disconnettersi, ma dal coraggio di riconnettersi alla vita reale.
A presto!

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